Lodovico Berra: «Superare l’angoscia della morte ci aiuta a ritrovare l’autenticità»

Lodovico Berra

Nel libro «La regola della Vita» (ISFiPP), presentato al Centro Avanì domenica 7 aprile, Lodovico Berra approfondisce il tema della morte, un argomento ostico per la società contemporanea, concentrata prevalentemente sull’effimero.

Emerge subito l’approccio dell’autore, medico psichiatra e psicoterapeuta che intreccia queste materie con la filosofia; e, infatti, il primo capitolo esplora il concetto della morte attraverso le affermazioni di numerosi pensatori, come Socrate, Epicuro, Schopenhauer, Nietzsche e Heidegger. Quindi l’attenzione si sposta sul campo d’azione proprio di Berra, la psicologia e la psichiatria, interrogandosi sul perché in questi ambiti la morte sia un argomento trascurato, nonostante la constatazione che l’essere umano sia l’unico essere vivente a poter «pensare» la propria morte; in tale contesto, l’autore analizza la differenza con l’osservazione della «morte dell’Altro» che permette di mantenere la distanza, mutando «il significato interiore ed emotivo». Non mancano le osservazioni su alcuni disturbi psichici (come depressione, ipocondria, attacchi di panico) e la loro correlazione con l’aspetto della morte.

Malattia e dolore

Da queste premesse, l’autore spinge la sua analisi in modo pragmatico, innanzitutto esaminando il concetto di malattia, con una riflessione per il nostro tempo sorprendente: «Diamo spesso per scontato che il nostro stato normale debba essere di salute, con completa assenza di ogni disturbo, e che la malattia sia una anomalia o un inconveniente. Ma non è così. Noi siamo in un perenne stato di precarietà, oscillando tra gradi più o meno intensi di malattia». Vi è qui un accenno critico alla «onnipotenza della medicina», e anche la condizione del malato terminale, cosciente della propria fine a breve scadenza, non è per Berra così dissimile dagli ogni altro essere umano perché «in realtà la condizione di prossima fine è un nostro stato costante». Così riletta, la malattia diventa un’occasione per «comprendere il valore della vita, di ogni singolo momento, di ogni rapporto, di ogni piccola cosa». Associato alla malattia è il dolore, e tuttavia anch’esso per l’autore, citando Jaspers, «è in grado di spiegare il senso profondo dell’esistenza».

L’autenticità personale

Nello sviluppo della sua analisi, Lodovico Berra giunge al concetto di «angoscia di morte», definita come «il sentimento doloroso nel vedere la propria inevitabile fine con ciò che implica: la perdita di ogni cosa, la precarietà della vita». Ed è proprio in relazione a questo aspetto che Berra sviluppa appieno la sua esposizione, sottolineando come la morte sia «una necessità insuperabile», «una evidenza indiscutibile», un fatto «unico e irripetibile», e come «nella nostra cultura (essa) venga evitata, negata, combattuta», talvolta rifugiandosi in atteggiamenti adolescenziali, «preoccupati da piaceri e immediate soddisfazioni, seguendo valori instabili e significati banali».

Invece, sottolinea Berra, «prepararsi alla morte, vederla di fronte a noi, accettarla come parte essenziale della nostra esistenza, senza temerla, senza mistificarla, cambia la forma della nostra vita» e ci apre alla via della «autenticità personale», «l’essenza stessa dell’individuo, la sua parte più vera e individuale, spesso nascosta o coperta da conformismi e uniformizzazione».

«La morte – conclude Berra – è un’occasione unica per l’autenticità. Ma non dobbiamo attendere che sia troppo tardi per scoprirlo».

Marco Scarzello

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